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Benozzo Gozzoli. La Madonna degli angeli protegge Sermoneta.

Benozzo Gozzoli - Madonna degli Angeli Sermoneta

Sermoneta, chiesa collegiata S. Maria, cappella De Marchis

Tempera su tavola trasferita su tela cm 205 x 95.

La Madonna degli angeli protegge Sermoneta

L’opera

Da sempre conservato nella Collegiata di Sermoneta, dedicata alla Vergine Assunta in cielo, il grande quadro della Madonna degli Angeli, è una delle opere di maggior pregio di Sermoneta e dell’intero territorio lepino.

Fu dipinto da Benozzo Gozzoli su tavola di legno intorno al 1456, forse per essere collocato sull’altare maggiore della chiesa; oggi decora la prima cappella (già della famiglia De Marchis) della navata destra.

Nel 1949 fu trasferito su tela e, tra il 1970 ed il 1975, sottoposto ad un lungo restauro presso l’Istituto Centrale del Restauro di Roma.

L’opera appare inserita in una grande cornice lignea, costituita da quattro pannelli. I due superiori rappresentano profeti con cartigli, quelli laterali sono decorati con motivi vegetali, zoomorfi ed antropomorfi che rimandano ai bianchi girari della miniatura tardo medievale.

La Madonna degli Angeli, se confrontata con la coeva produzione dell’artista toscano, appare stilisticamente piuttosto lontana. L’ampio utilizzo della doratura – generalmente riservata dal Gozzoli alla volta celeste ed alle mistiche aureole – risulta quasi una forzatura e comunque un anacronismo; la cui spiegazione è forse da ricercare nella volontà dei committenti di impreziosire e rendere in un certo senso “unica” l’opera sermonetana. Anche il soggetto scelto dall’artista, in parte ispirato a modelli tardogotici, non trova riscontro nella sua produzione e rappresenta una sorta di unicum, un’eccezione.

Sull’aureola della Vergine  è presente la seguente iscrizione:

MARIA. MATER. GRATI[A]E. MATER. MISERIC[ORDIAE]

che allude alla sua intercessione.

La cornice

La cornice è probabilmente del 1517 perché, nel 1783, il Pantanelli lesse ai piedi di essa – sulla predella – l’iscrizione:

MDXVII. AVE. REGINA. COELORVM.
AVE. DOMINA. ANGELORVM.

C
ornice superiore

L’iconografia

Gozzoli coniuga tre modelli tradizionali della iconografia mariana: quello della Madonna della Misericordia, in cui la Vergine sotto il suo manto protegge i fedeli a Lei devoti, con quelli della Assunzione in cielo e della successiva Incoronazione.

Le schiere angeliche

Gli angeli sono divisi in nove ordini organizzati in tre triadi, in cui la gerarchia è espressa dalla vicinanza e quindi partecipazione ai misteri di Dio.

Dall’alto troviamo:

  • Serafini, Cherubini e Troni;
  • Dominazioni, Potestà e Virtù;
  • Principati, Arcangeli e Angeli.

I cherubini posano sul capo di Maria la Tiara simbolo dei tre poteri sul mondo, sugli uomini e sul cielo; rappresentano anche la Chiesa militante sulla terra, penitente dopo la morte e prima del paradiso e trionfante nella ricompensa eterna.

Serafini (i più vicini a Dio, spesso di colore rosso, segno di amore ardente, con tre paia di ali: Sono rappresentati in visioni profetiche), Cherubini (a sei ali, due verso l’alto, due aperte e due ripiegate sulla figura; spesso sono cosparse di occhi come quelle del pavone, e possono esserci quattro teste) e Troni (sono specchi o Amori su cui si riflette il giudizio di Dio. A volte rappresentati con un ramo di giglio come allusione alla purezza).

Dominazioni (sono libere da qualsiasi legame con le cose basse, e si volgono interamente verso Dio sovrano), Potestà (capaci di scacciare gli spiriti maligni con la preghiera) e Virtù (ricevono la luce di Dio e la trasmettono all’anima umana. Spesso rappresentati nell’atto di soccorrere).

Principati (hanno un ruolo di comando e guida simile a Dio), Arcangeli (hanno funzione tutelare) e Angeli (come annunciatori sono rappresentati abitualmente con l’abbigliamento più semplice e con un rotolo in mano).

Le iscrizioni dei cartigli

Sul cartiglio della dominazione posta a sinistra:

NOLITE NOCERE TERRE ET MARI NEC A[R]BORIBV[S]

La frase è tratta dal Nuovo Testamento, Ap. VII,3. “ Dopo questo, vidi quattro angeli … E vidi un altro angelo … E gridò a gran voce ai quattro angeli … Non colpite né la terra, né il mare, né le piantefinché non abbiamo segnato in fronte i servi di Dio.

Sul cartiglio della dominazione posta a destra:

SVP[ER] QVANDO VIDERITIS SIGNU[M] THAV N[E] OCCIDATIS

La frase è tratta dall’Antico Testamento, Ez. IX,6. Il capitolo è titolato il castigo:  “Uccidete si da annientare, vecchi, giovani, vergini, pargoli e donne … Ma non toccate quelli su cui è impresso il tau.

Sui cartigli tenuti dagli angeli:

DIC ANGELO PERCVTIENTI CESS[ET] MANVS TVA

DIC ANGELO PERCVTIENTI CESS[ET] MANVS TVA

La frase è tratta da II Sam. XXIV,16 che è anticipata dai versi: “Così Iahvè mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; e da Dan a Bersabea morirono settantamila persone del popolo. E come l’angelo stendeva la sua mano su Gerusalemme per distruggerla, Iahvè si pentì di quel male, e disse all’angelo che distruggeva il popolo: Basta; ritira ora la tua mano!”.

Tutte le iscrizioni se rilette nel loro originario contesto, ci raccontano di un Angelo inviato da Dio che semina la morte, di una gravissima pestilenza, e di come, grazie all’intervento della Vergine “la mano dell’Angelo che percuote” possa essere fermata. Questo va ulteriormente a rafforzare l’ipotesi, già formulata dal Pantanelli della realizzazione della tavola come ringraziamento per l’intercessione della Vergine durante l’epidemia del 1456.  

La Vergine, inoltre, tiene in grembo un modello della città Sermoneta in cui il campanile della Collegiata appare ancora cuspidato. Questa elevazione fu distrutta da un fulmine nel 1567 ed un’incisione sul fianco del piccolo nartece della chiesa ricorda l’episodio “Lo trone dette al campanile 1567”.

La veduta della città di Sermoneta

La Sermoneta che Maria porta in grembo è una Sermoneta quattrocentesca. Sulla destra possiamo distinguere il campanile di S. Maria, affiancato da una torre che non riconosciamo. S. Maria Assunta è una chiesa collegiata, ossia una chiesa sufficientemente importante perché vi si riunisca il collegium canonicuum. E’ la chiesa più importante di Sermoneta, presso la quale il giorno di Pasqua si preparano e si distribuiscono ai fedeli focacce a base di uova e latte, anche quando la popolazione versa in condizioni di carestia.

Si trova in contrada Torrenuova, una zona del castrum che proprio dalla fine del ‘300 era stata interessata dall’arrivo e dallo stanziamento degli abitanti di Ninfa, che fuggivano alla distruzione del loro abitato e che, successivamente, verrà interessata dal rafforzamento delle mura e da una riqualificazione strutturale;è la sede arcipresbiterialecioè del rappresentante sul territorio del Vescovo della diocesi di Terracina, di cui Sermoneta faceva parte, ed in quanto tale, è titolare di un importante patrimonio fondiario.

Il secondo polo religioso di Sermoneta è la chiesa di S. Michele Arcangelo, comunemente detta S. Angelo, che si trova in posizione speculare rispetto a S. Maria, ossia in contrada di Valle. Anche qui operano numerosi canonici; è in condizioni di decadenza strutturale ed economica; nonostante questo, ai primi del 1400 annette alle proprie pertinenze gestionali la chiesa di S. Nicola, estendendo quindi la propria giurisdizione sul rione limitrofo (verso SUD) e controllando, quindi, il neonato insediamento francescano che lì si era stanziato dopo l’allontanamento da Ninfa dei Frati minori.

La terza istituzione religiosa di grande importanza, probabilmente la più antica, l’ecclesia castri, data la sua dislocazione, era la chiesa di S. Pietro, che è attualmente scomparsa. La chiesa venne abbattuta nel corso dei lavori di ampliamento e costruzione delle attuali fortificazioni castellane, compiuti a cavallo del 1500 dalla famiglia Borgia.

Se dovessimo immaginare l’esatta ubicazione dell’edificio ecclesiastico, probabilmente lo dislocheremmo dinanzi all’odierna casa del cardinale, ossia in piena corte. Era lì che probabilmente lo immaginava Pietro Pantanelli, quando ne dava notizia chiamandolo proprio S. Pietro in Corte.

La critica

La prima testimonianza relativa alla Madonna degli Angeli si deve allo storico sermonetano Pietro Pantanelli (1766) che, sulla scorta delle coeve attribuzioni, riferisce l’opera alla cerchia del Perugino.

Pantanelli, più avanti, ci ricorda di una grave pestilenza, nel 1456, e di come, grazie all’intercessione della Vergine, Sermoneta fosse scampata alla terribile epidemia. L’opera del Gozzoli sarebbe quindi giunta a Sermoneta come ex voto, donata dal Senato romano. 

Ancora Pantanelli manifesta alcuni dubbi sia sull’attribuzione al Perugino – “non so se di quel tempo quell’autore fiorisse” – sia sulla datazione, 1517, rinvenuta sulla cornice dell’opera e da lui correttamente riferita all’anno di esecuzione della cornice stessa, e non del dipinto: “la cornice dunque fu fatta assai dopo la tavola della Madonna”.

Pietro Pantanelli, Notizie istoriche e sacre e profane, appartenenti alla terra di Sermoneta, (seconda metà sec. XVIII) 1909-1911.

Gelasio Caetani, Domus cajetana, 1927

Questo bellissimo quadro, detto di S. Maria degli Angeli, fu donato a S. Maria di Sermoneta dal senato romano […] Il quadro viene attribuito a Benozzo Gozzoli (+ 1484 ca.) e si vuole fosse donato verso l’anno 1480 in ricordo del fatto che Sermoneta scampò dal flagello della peste (v. Pantanelli). La cornice è probabilmente del 1517 perché, nel 1783, il Pantanelli lesse ai piedi di essa l’iscrizione:

MDXVII. AVE. REGINA. COELORVM.

AVE. DOMINA. ANGELORVM.

Il dipinto viene riferito per la prima volta alla mano di Benozzo Gozzoli da Adolfo Venturi, nel 1901, che lo ritiene eseguito “sulla traccia dell’Angelico”. L’attribuzione all’artista toscano viene ripresa più tardi da Bernard Berenson e da Mario Salmi. Più recentemente Diane Cole Hal, nella sua ampia monografia sul Gozzoli, descrive il dipinto sermonetano come “opera dipinta magnificamente” [anche se] “non lascia trasparire nulla della sua inventività narrativa”.

Biografia

Benozzo Gozzoli (Firenze 1420-Pistoia 1497) L’apprendistato di Benozzo di Lese (il cognome Gozzoli, con cui l’artista è universalmente noto, gli fu assegnato dal Vasari, non compare in alcun documento) si svolse nella bottega del Ghiberti. Il suo vero maestro fu però l’Angelico, col quale collaborò a Roma (1447) e ad Orvieto. Fin dalle prime opere autonome – affreschi del coro di S. Francesco a Montefalco, 1450-52 -, Gozzoli rivela, pur nell’evidente dipendenza dallo stile dell’Angelico, un personale e piacevole impegno narrativo, punteggiato da numerosi, coloritissimi episodi. A questa vena corrispondono anche le altre opere – affreschi con Storie di Sant’ Agostino in S. Agostino a San Gimignano, 1463-67 -, compresa la decorazione della cappella di palazzo Medici-Riccardi a Firenze, in cui compare il celebre Viaggio dei Magi, raffinata e fiabesca rievocazione della corte medicea, volta quasi nostalgicamente a ricordare eleganze da gotico cortese nel palese riferimento a Gentile da Fabriano.

Giorgio Vasari nelle Vite, così descrive Benozzo Gozzoli:

Costui fu discepolo dello angelico fra’ Giovanni, e a ragione amato da lui e da chi lo conobbe   tenuto pratico, di grandissima invenzione e molto copioso negli ani-  mali, nelle prospet[t]ive, ne’ paesi e negli ornamenti. Fece tanto la-  voro nella età sua, che e’ mostrò non essersi molto curato d’altri